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Ottavario di S. Francesco. V giorno: Evitare il peccato d’invidia

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Orestes Pursued By The Furies.jpg«“Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva”. Ma Gesù disse: “Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi”.»

 La Parola di Dio di questa domenica ci parla della gelosia e dell’ invidia degli uomini nei confronti dei doni che con liberalità Dio elargisce ai loro fratelli: Giosuè è geloso dei due anziani rimasti all’accampamento, l’apostolo Giovanni è geloso dell’uomo che, pur non seguendo Gesù, scaccia demòni nel suo nome. In realtà, dinanzi alla liberalità di Dio dovremmo rallegrarci e fare attenzione al modo in cui usiamo i doni che sono stati concessi a noi.

Anche il Serafico Padre Francesco ci parla del peccato d’invidia nella sua VIII Ammonizione:

«Dice l’Apostolo: Nessuno può dire: Signore Gesù, se non nello Spirito Santo (1Cor 12,3); e: Non c’è chi fa il bene, non ce n’è neppure uno (Sal 52,4; 13,3). Chiunque invidierà il suo fratello per il bene che il Signore dice e fa in lui, commette peccato di bestemmia, poiché invidia lo stesso Altissimo che dice e fa ogni bene».                   

Come abbiamo visto fino adesso, il nocciolo della vita per Francesco è la “vita senza nulla di proprio”. Anche in questa ottava ammonizione è di questo che si tratta. La povertà vissuta e raccomandata da Francesco è povertà esteriore: uso retto delle cose necessarie per il servizio di Dio senza mai sentirsene padroni e riconoscendo il diritto sovrano di Dio; ma più ancora è povertà interiore, radice di quella esteriore.

Dalle ammonizioni apprendiamo che il discepolo di Cristo non può appropriarsi della propria volontà (II amm.); che l’obbedienza è il vertice più alto di questa “vita senza nulla di proprio” (III amm.); in questa prospettiva abbiamo visto come a nessuno è lecito appropriarsi della “carica” di superiore (IV amm.); che non ci si può insuperbire per le proprie qualità o buone azioni dato che esse, in fin dei conti, appartengono a Dio (V amm.); tanto meno quindi ci è lecito pavoneggiarci delle opere di altri, ma bisogna fare attenzione al proprio cammino di sequela di Cristo (VI amm.); infine non ci si può gloriare neanche della propria scienza, schivando ogni pericolo di autoglorificazione come “lettera che uccide” (VII amm.).

In questo percorso Francesco ci ha mostrato tante sfaccettature della vera povertà interiore, atteggiamento autenticamente religioso dell’uomo dinanzi a Dio, in modo da portare chi lo segue a sperimentare la beatitudine della povertà di spirito.

Anche l’ottava ammonizione procede in questa direzione. Come sua abitudine, Francesco apre l’ammonizione con la citazione della Parola di Dio.

Nel passo, tratto dalla lettera ai Romani, «Non c’è chi fa il bene, non ce n’è neppure uno (Sal 52,4; 13,3; Rm 3,12)»,S. Paolo cita il salmo 13, un brano, che vuole sottolineare come prima della redenzione l’uomo non potesse compiere nulla di buono davanti a Dio essendosene allontanato in maniera irrimediabile. Solo grazie all’opera della redenzione l’uomo, riconciliato con Dio gratuitamente e senza suo merito, può compiere azioni meritorie davanti a Lui, perché associato all’opera di Cristo e reso figlio nel Figlio.

È solo per la grazia di Cristo, quindi, e operando insieme a Lui, che siamo capaci di compiere opere buone davanti a Dio Padre. È questo che sottolinea la prima citazione che apre l’ammonizione: solo lo Spirito Santo ci dona la grazia di riconoscere Cristo nostro Signore ponendo ogni nostra azione sotto la Sua Signoria e rendendola accetta al Padre. Con questa ammonizione il serafico padre vuole ulteriormente chiarire che ogni opera buona che compiamo non appartiene a noi, ma a Dio che ci concede di compierla.

Francesco per primo testimonia questa verità: nel suo Testamento mai egli si attribuisce qualcosa che non sia la risposta all’opera di Dio: «Il Signore concesse a me, frate Francesco, d’incominciare così a far penitenza, .. e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia ... E il Signore mi dette tanta fede nelle chiese, … Poi il Signore mi dette e mi dà tanta fede …»

Francesco è consapevole e confessa che tutto ha realizzato Dio attraverso la sua cooperazione.   È questo l’atteggiamento del vero povero davanti a Dio.

Nell’ammonizione, dopo aver citato la Scrittura, Francesco si scaglia contro l’odioso male che è l’invidia dei fratelli/sorelle. Un peccato odioso che viene riconosciuto come bestemmia perché vorrebbe dare istruzioni a Dio, perché, implicitamente, afferma che Dio sbaglia a dare i suoi doni ai nostri fratelli e non a noi!

Viene in mente la parabola degli operai chiamati a diverse ore: « Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?» (Mt 20,15).

Dinanzi a Dio non possiamo che lasciarci beneficare senza accampare pretese.

Qualche domanda per aiutarci, nella riflessione personale, a scovare ed estirpare questo peccato che troppo spesso si insidia nelle nostre fraternità.

Ci sentiamo in tutto e per tutto dei beneficati da Dio? Riconosciamo che tutto il bene nella nostra vita è proprietà di Dio e, come opera Sua e Suo dono, gli appartiene? O abbiamo la pretesa di controbilanciare con i nostri “meriti” (se non, addirittura, che il Signore ci sia debitore per il bene che facciamo)? Non ci capita di avere, talvolta, un’alta concezione di noi stessi a causa di tali “meriti” supposti? Non ci sentiamo, a volte, superiori agli altri?

L’antidoto a tutto ciò è coltivare una sincera riconoscenza che diventa rendimento di grazie al Grande Elemosiniere al quale tutto dobbiamo.  Per prepararci a questo, esercitiamoci a dire grazie ai fratelli. Noi dovremmo rallegrarci gioiosamente e senza invidia « per il bene che il Signore dice e fa» nei fratelli che ci stanno accanto.

A volte capita che prendiamo alla leggera il peccato di invidia: Come ci comportiamo quando un fratello viene lodato? Ci capita di sminuire l’operato dei fratelli? siamo consapevoli che in tal modo sminuiamo l’opera di Dio?


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